03/03/2015

LEAN e PMI, un incontro pieno di vantaggi

Da qualche anno, la parola lean è indubbiamente sfuggita al controllo della ristretta cerchia di studiosi di organizzazione aziendale. Insomma: lean è bello (e possibilmente utile, aggiungerei).

 

Fonte: APPROVVIGIONARE n. 62/63 – Settembre/Novembre 2012


LEAN e PMI,

un incontro pieno di vantaggi

Da qualche anno, la parola lean è indubbiamente sfuggita al controllo della ristretta cerchia di studiosi di organizzazione aziendale. La si ritrova quotidianamente nella stampa non specializzata, come pure nei programmi di convegni e conferenze. La mole di volumi che promette fin dal titolo di possedere la ricetta per ridurre gli sprechi, migliorare la qualità dei servizi e dei prodotti, soddisfare clienti sempre più esigenti è in crescita costante. Insomma: lean è bello (e possibilmente utile, aggiungerei).
La notorietà, si sa, spesso porta con sé qualche piccolo fastidio: insieme alla diffusione su scala globale di un approccio manageriale di provata efficacia, sono comparsi un discreto numero di luoghi comuni, che poco hanno a vedere con la filosofia lean. Purtroppo, dai falsi miti nascono ostacoli insidiosi, che  possono compromettere fin dall’inizio la trasformazione dei processi in ottica lean.
Trattare in questa sede i principali equivoci che gravitano intorno al lean thinking sarebbe impossibile, ma per fortuna da anni autori come Womack, Liker e Meier ne discutono con molta lucidità, per esempio nei volumi segnalati in fondo a questo articolo. A complicare la questione si aggiunge la mancanza dell’edizione italiana di alcuni testi di riferimento, fenomeno che indubbiamente non ne favorisce la diffusione. La letteratura lean in lingua italiana, già di per sé piuttosto essenziale, è  in massima parte focalizzata sui risultati potenzialmente raggiungibili  attraverso l’adozione dei principi lean, molto meno sugli ostacoli da evitare e le lesson learned, ovvero su cosa si può imparare dalle aziende che negli anni hanno percorso con successo questo cammino (e che, presumibilmente, avranno pur fatto qualche  errore).
Uno dei malintesi più diffusi riguarda il tipo di azienda più “adatto” per un progetto lean. Il cortocircuito mentale è – all’incirca – questo: il lean thinking è nato in Toyota, quindi in Giappone, ed è stato poi adottato dalle grandi aziende americane: nulla di più diverso dalle PMI italiane.
E certo non aiuta venire a sapere, attraverso i soliti canali informali ma pur sempre ben informati, che qualche progetto lean, lanciato con i migliori auspici, è fallito, portando con sé strascichi organizzativi più o meno profondi.
Eppure chiunque abbia frequentato un breve seminario sul lean thinking si è sentito ripetere fino alla noia che alla base della cultura lean c’è la lotta allo spreco in tutte le sue forme, in origine l’unica possibilità di sopravvivenza di una piccola e sconosciuta azienda di nome Toyota, che, nel Giappone piegato dai postumi dalla seconda guerra mondiale, tentava di produrre prodotti complessi come le automobili, senza per questo potersi finanziare sul mercato dei capitali.
In realtà, tra i punti di forza che permettono alle PMI di competere ci sono da sempre alcuni principi assimilabili a quelli del lean thinking, mescolati in proporzioni variabili con pratiche, processi e abitudini decisamente migliorabili.
L’avversione allo spreco, cioè la lotta a tutto ciò che non è necessario per la realizzazione del prodotto o servizio da consegnare al cliente, è un principio presente, oltre che in Toyota, nella cultura di molte PMI italiane: evidentemente la scarsità di capitali e infrastrutture del Giappone degli anni Quaranta non era molto diversa da quella dell’Italia al termine del secondo conflitto mondiale. Da questa situazione contingente Toyota per prima (e le aziende che hanno adottato la filosofia lean in seguito) ha saputo costruire un sistema basato sull’avversione allo spreco, in cui la lotta ai costi inutili non è guidata da eventi occasionali e limitati nel tempo, quali la stesura del budget, la revisione di un piano di saving o la rinnovata attenzione dell’imprenditore alla riduzione dei costi, magari scatenata da qualche episodio che ha messo in particolare risalto la dimensione di certe inefficienze. Passare da un approccio casuale alla riduzione dello spreco, per giunta molto spesso promosso dall’alto, a uno più sistematico fa sì che questo diventi una componente del lavoro quotidiano e non “un’altra cosa da fare”, separata in maniera innaturale dal resto delle attività lavorative.
L’incapacità di incorporare questo approccio nella cultura aziendale dà la falsa impressione che la lean non sia adatta alle PMI, sebbene sia vero l’esatto contrario. Va da sé che la cultura aziendale non cresce spontaneamente in natura e che debba essere rafforzata giorno dopo giorno, ma è pur vero che le PMI hanno la dimensione ideale per coltivare chiarezza di intenti unita a coerenza degli obiettivi e per comunicarli al proprio interno nella maniera più efficace. Non che questo sia facile, ovviamente, altrimenti il numero di successi ottenuti sarebbe ben più alto di quello attuale, ma la strada già percorsa da diverse PMI indica che ciò è possibile.
D’altra parte, anche le grandi multinazionali che si trovano all’inizio del loro percorso lean solitamente investono nel rapido sviluppo di un certo numero di siti pilota, con l’obiettivo di distillare un modello di successo da esportare nei restanti stabilimenti, possibilmente evitando di ripetere gli errori delle prime esperienze.
La chiarezza degli obiettivi e la determinazione nel portarli avanti con continuità nel tempo sono gli ingredienti fondamentali di ogni progetto di successo, lean e non, ambito nel quale molte PMI italiane rappresentano delle eccellenze di livello internazionale. Le stesse doti di perseveranza, attenzione ai risultati di medio e lungo periodo, innovazione che le PMI applicano da anni allo sviluppo di prodotti, clienti e mercati sono i componenti fondamentali della filosofia lean. La quasi totalità dei fallimenti di progetti lean si registra proprio quando questi fattori vengono meno, non nel momento in cui implementare il one piece flow o la gestione dei fornitori con i cartellini kanban risulta un compito più arduo del previsto. Ed ecco il falso mito più pericoloso per un progetto lean: pensare che l’introduzione di un gran  numero di strumenti possa sopperire alla poca chiarezza degli obiettivi da raggiungere.
Un bravo idraulico, prima si fa un’idea precisa del problema da risolvere, quindi prende in mano gli attrezzi giusti, non il contrario!
Basterebbe questo semplice esempio per stroncare sul nascere molti dei presunti dilemmi che popolano la subcultura lean, ad esempio se sia lean o meno utilizzare l’MRP, se un’azienda possa dirsi lean senza utilizzare i cartellini kanban oppure se l’eliminazione dei magazzini intermedi e l’introduzione del one piece flow debba essere considerata una priorità fin dalla prima ora.
Aspetti tecnici degni di tutto rispetto, ma pur sempre aspetti tecnici, che come tali vanno inquadrati in un progetto di più ampio respiro, finalizzato all’introduzione di una cultura in cui la riduzione dello spreco attraverso il miglioramento continuo è parte integrante delle attività quotidiane. Si può essere un’azienda lean utilizzando solo una piccola parte degli strumenti che Toyota ha sviluppato in sessant’anni – è bene ricordarlo – con il solo scopo di supportare i propri obiettivi e la propria cultura.
Curiosamente vale anche il contrario: si possono implementare anche le più sofisticate tecniche lean senza ottenere alcun beneficio tangibile, se non le si utilizza per raggiungere obiettivi ben definiti. Nonostante le risorse messe in campo, si cade nella sgradevole circostanza in cui l’azienda non riesce a ridurre gli sprechi.
Apparentemente, un avvenimento inspiegabile. Si concretizza allora il rischio che il progetto lean finisca su un binario morto, tra le cose che si pensava potessero essere utili, “ma che alla fine qua non funzionano, perché noi non siamo mica come i giapponesi di Toyota”.
L’applicazione della filosofia lean all’ambiente di produzione vanta ormai un gran numero di casi di successo, dovuti in parte al fatto che è relativamente più semplice individuare e rimuovere gli sprechi in un processo tangibile come quello produttivo. Più recente è l’applicazione dei concetti lean ai processi transazionali, sulla spinta del fatto che da anni la maggior parte dei costi (e degli sprechi) non risiede più nei reparti produttivi.
In questa ottica, l’avversione lean al concetto di spreco è particolarmente utile nel disegno dell’intera supply chain. La lunghezza, la complessità, la quantità di informazioni, il numero di soggetti che costituiscono una moderna supply chain rappresentano un ambiente estremamente favorevole allo sviluppo di attività duplicate, di zone d’ombra e di aree grigie difficilmente controllabili. In altre parole, di sprechi.
Sono proprio questi i luoghi in cui le PMI, eternamente in bilico tra la necessità di introdurre sempre più lavoratori indiretti e la difficoltà a trasferirne il costo sul prodotto, possono ottenere i maggiori benefici attraverso la filosofia lean. Benefici che richiedono investimenti molto piccoli, se paragonati a quelli che le PMI effettuano da decenni in macchinari, impianti, software o tecnologie di processo innovative, ma che necessitano di una forte focalizzazione sui valori e sulla cultura, diversi da azienda ad azienda. Purtroppo non è possibile acquistare sul libero mercato qualità come la chiarezza degli intenti, la perseveranza nell’inseguire il risultato, la focalizzazione sugli aspetti chiave del business o lo spirito di squadra. I fondamentali della caccia allo spreco non sono prodotti a catalogo.
Toyota in oltre sessant’anni ha costruito la sua via verso la competitività e la crescita sostenibile del business, fenomeno che le permette oggi di gestire con serenità gli alti e bassi che caratterizzano la storia di una qualsiasi società lungo più di mezzo secolo di vita. Molte altre aziende nel mondo, grandi e piccole, hanno mutuato l’approccio lean di Toyota con il preciso obiettivo focalizzarsi sull’unico vero asset di un’azienda, i propri clienti, per servirli con prodotti sempre in linea con le loro esigenze, a costi competitivi.
Una strada che un gran numero di PMI italiane può percorrere, traendone vantaggi che solo all’apparenza possono sembrare tanto ambiziosi da essere giudicati come irraggiungibili.

Per approfondire:
LIKER, Jeffrey. The Toyota Way: Fourteen Management Principles from the World’s Greatest Manufacturer. McGraw-Hill, 2004.
LIKER, Jeffrey. MEIER, David. The Toyota Way Fieldbook. McGraw-Hill, 2005.
WOMACK, Jim. Gemba Walks. Lean Enterprise Institute, 2011.