ADACI Associazioni Italiana Acquisti e Supply Management
04/02/2017

Gli Acquisti raccolgono le sfide, tra globalizzazione ed etica – Da Approvvigionare Novembre 2013

Le sei Tavole rotonde hanno abbracciato tematiche diverse, ma solo apparentemente lontane: al centro, la gestione del cambiamento.

Attraverso il modulo vincente delle tavole rotonde, il Negotiorum Fucina ha portato alla luce, nei diversi settori in cui sono stati suddivisi i lavori, temi, problemi e strategie, in un confronto dialettico che non solo ha interessato i singoli componenti di ciascun gruppo, ma ha coinvolto, nella giornata conclusiva, tutti i partecipanti, parte attiva di un unico grande e proficuo incontro sul futuro, vicino e lontano, della professione degli Acquisti e delle sfide che la attendono.

Molti gli aspetti comuni che sono tornati, come un leit-motiv, in tutte le tavole rotonde che, d’altra parte, hanno più strettamente indagato le tematiche legate alle specifiche aree di competenza.

Punto di partenza e condizione necessaria alla buona riuscita dell’evento, il confronto, ossia la volontà di condividere le proprie esperienze: volontà espressa dal lavoro dei partecipanti e che indica una svolta tutt’altro che banale. Superando la ricerca di strategie vincenti e personali, gli uomini degli acquisti hanno compreso che condividere non significa ridurre ma piuttosto accrescere e che quindi la vera competitività passa proprio da lì, anche perché, come ben evidenziato durante i lavori, oggi la competitività si gioca tra Europa e resto del mondo.

E allora, in questo quadro, come si gioca la partita del Made in Italy? È possibile mantenerne l’identità? Non è un caso che proprio al Made in Italy sia stato dedicato uno specifico Tavolo di confronto che ha visto protagonisti soprattutto esponenti del fashion e dell’automotive, accomunati dalla difficoltà di reperire materiali e manodopera specializzata e di gestire la complessità dei costi.
Come può sopravvivere il Made in Italy, se perde quelle capacità manuali che ne sono la fonte e la ricchezza? Quando si parla di Made in Italy diventa spesso impossibile cambiare fornitore, perché la scelta è limitata e di conseguenza anche i costi sono intoccabili. Si perdono così interi patrimoni, mentre cointainer pieni di jeans viaggiano tra i 5 continenti per essere stinti, strappati, lavorati. Ciò che può essere definito Made in Italy è spesso un patrimonio astratto fatto di creatività, fantasia, design. Un valore aggiunto che però non è tale per tutti i mercati e che nella sfida globale viene spesso superato dal mero utilizzo.

Conciliare Made in Italy e internazionalizzazione diventa quindi una grande sfida, che può essere superata, per esempio, con le reti d’impresa e, soprattutto, puntando sui giovani per favorire il recupero di attività artigianali specializzate.

Conoscere il rischio per evitarlo

Su tutto pende la totale assenza dello Stato, che chiede ma non sostiene.

Il momento è difficile e i rischi sono molti. Ecco quindi che il Risk Management, al quale è stata dedicata una specifica Tavola rotonda, assume un’importanza ancora più strategica per il successo aziendale: occorrono competenze specifiche e articolate per capire, prevedere, studiare e affrontare i rischi; rischi che aumentano e cambiano con il mutare delle condizioni e l’evoluzione, sempre più veloce, del business.

Prioritario, oltre ogni dubbio, è il rischio credito, anche se, rispetto a qualche anno fa, non è più la sola fonte di preoccupazione, perché la crescente complessità del business ha esteso il rischio a tutto il processo aziendale, coinvolgendo problematiche di natura ambientale, di protezione dei dati, di adeguata gestione dei processi interni, di credibilità.

Da un lato quindi, l’attenzione ai fornitori, da valutare non solo per gli aspetti produttivi e organizzativi, ma anche per quelli finanziari: la chiusura di un fornitore mette in pericolo la puntualità delle consegne e quindi mina la credibilità aziendale, sulla quale, peraltro, pendono anche altri fattori, più strettamente legati alle condizioni del mercato, o meglio dei mercati.

Pensiamo, per esempio, all’effetto domino creato dall’instabilità politica che si è venuta a creare nei Paesi del Nord Africa, Egitto in testa.

Ma questi rischi sono prevedibili? E se sì, come?

 

L’efficienza del Risk Management sta proprio lì, nella capacità di attivare un percorso a tutti i livelli dell’organizzazione, che coinvolga ogni singolo soggetto nella prevenzione. Insomma, si tratta di sviluppare una vera e propria cultura del rischio a tutti i livelli aziendali per coinvolgere ogni ruolo nell’identificazione, prevenzione e soluzione dei rischi; ognuno con le sue competenze, ognuno parte di un progetto strategico e di un modus operandi diffuso e condiviso.

Anticipare e reagire, o meglio agire, nel senso che, di fronte al rischio, bisogna costruire valide alternative per poter ridurre i tempi di re-azione.

Non c’è dubbio però che la costruzione di un sistema “Anti-rischio” sia più facile in una grossa azienda, dove si possono trovare competenze più estese. Per le PMI vale comunque la regola dello scambio di informazioni, mentre vale sempre meno quella di affidare a terzi la valutazione del rischio.

Il tema del rischio è stato centrale anche per la Tavola dedicata al rapporto tra ADACI e Università e alle nuove sfide della Supply Chain.

Una tavola molto operativa, che ha lavorato con l’obiettivo di costruire un rapporto continuativo e proficuo tra l’associazione ed il mondo accademico. Ciò richiede azioni concrete per rafforzare la community professionale/accademica, sulla base di temi di ricerca condivisi ed esperienze innovative. Proprio per questo, si sta procedendo con la mappatura di ricercatori e docenti che si interessano di acquisti, per costituire un comitato scientifico che racchiuda entrambe le componenti, quella professionale e quella accademica.

Global sourcing, Supply Chain Risk Management (SCRM), agilità e resilienza nella Supply Chain, sono i temi attorno ai quali ruota l’analisi della vulnerabilità nella Supply Chain, vulnerabilità che, secondo le statistiche, preoccupa non poco il management aziendale.
La resilienza si conquista abbandonando gli automatismi

Come già evidenziato, la complessità aumenta le minacce. Gestire i rischi è dunque una priorità: il 62% dei responsabili degli uffici acquisti la mette al terzo posto, dopo i due fattori che hanno caratterizzato l’attività negli ultimi anni, ossia la riduzione dei costi e la gestione delle relazioni con i fornitori.

Come si configura il rischio? Una possibile definizione è che sia la probabilità attesa che in un “sistema” si verifichino problemi, disguidi, malfunzionamenti che danneggino persone o cose o, più in generale, provochino perdite. Dunque, il rischio è un fattore atteso. Ne consegue che più alto è il livello di conoscenza e più alte le possibilità di gestire il rischio e le sue conseguenze.

Certo, ci sono rischi endogeni, e quindi governabili, anche solo parzialmente, ma ci sono anche rischi esogeni, quindi incontrollabili; pensiamo ai conflitti sociali o alle calamità naturali, che hanno registrato un fortissimo incremento e che incidono in modo particolare sulla catena logistica.

Costruire un Business Continuity Planning (BPC), ovvero un processo strutturato che includa il Risk Management è dunque di primaria importanza. Il Risk Management può fortemente contribuire alla resilienza dell’azienda. Se il termine resilienza non vi dice granché, basterà sapere che la si definisce come la capacità di un materiale di resistere agli urti improvvisi senza spezzarsi. Il che significa non soltanto saper resistere agli urti di ogni tipo, ma anche trarre vantaggio dalle sollecitazioni. Va da sé che un’impresa resiliente è un’impresa in grado di affrontare le prove cui è sottoposta uscendone addirittura più forte. Tutto ciò richiede un atteggiamento di mindfulness. Ovvero la capacità di abbandonare schemi automatici e di essere sensibili alle novità nelle nostre esperienze quotidiane.

Fin qui le sfide della Supply Chain, ma ogni settore, si sa, ha i suoi problemi.

Ecco quindi la Tavola del Manifatturiero Evoluto, che ha registrato la maggior partecipazione, tanto da richiederne la suddivisione in due sezioni parallele, entrambe concentrate sul Global Sourcing e l’Early Involvement.
Per quanto riguarda il Global Sourcing, una cosa sembra essere certa: non si tratta più di una soluzione a tutto campo, quanto piuttosto di una possibilità da calibrare, tenendo in considerazione il ritorno al local sourcing, una tendenza che si sta sempre più diffondendo.

Nella scelta entra in gioco l’early involvement, ovvero quel processo che mette in relazione diverse risorse dell’azienda, che possono essere di supporto nelle fasi di pianificazione di progetti di capitale, di sviluppo di nuovi progetti e più in generale in tutte le attività di pianificazione funzionale strategica.

Dunque: global o local? Quest’ultimo è sostenuto da diversi elementi, quali il mantenimento del vantaggio tecnologico, il presidio della qualità richiesta, la necessità di controllo della «sostenibilità» della filiera di produzione e di acquisto. Fattori che contribuiscono alla competitività, cioè al mantenimento delle proprie quote di mercato e dell’obiettivo della crescita. L’early involvement, che si sta gradualmente diffondendo nelle aziende, impatta in modo particolare sulla funzione approvvigionamenti, chiamata in causa fin dall’avvio di progetti che inevitabilmente richiederanno l’acquisto di materiali e servizi. La funzione può così contribuire alla selezione dei fornitori e alla definizione dei capitolati e può anticipare eventuali criticità di fornitura.

Le esperienze di realtà multinazionali molto strutturate hanno evidenziato il ruolo proattivo dell’Advanced Purchasing nella fase di Sviluppo Prodotto al fine della definizione del costo. Al di là della struttura industriale, in ogni caso, il Purchasing, proprio grazie alla conoscenza dell’intero processo produttivo, si rivela fondamentale nel supporto alle decisioni strategiche e nell’intercettazione del potenziale saving.
In un quadro così ricco e complesso, in cui la gestione del cambiamento è protagonista indiscussa, non potevano mancare, con i temi legati alla globalizzazione, anche quelli legati all’etica, temi più rigorosamente indagati dalla Tavola dedicata ai settori Chimico, Farmaceutico e Industriale, per loro natura forse maggiormente coinvolti negli aspetti sociali e culturali del cambiamento stesso.

Fare la cosa giusta e farla velocemente

La domanda è semplice: come coniugare la velocità delle decisioni alla responsabilità, alla scelta giusta e corretta, che per definizione è ponderata? Essere veloci e fare la cosa giusta sono due atteggiamenti conciliabili?

Da un lato non c’è tempo per valutare in modo preciso ogni aspetto, dall’altro c’è la consapevolezza che ogni scelta porterà delle conseguenze. Essere agili e veloci è un valore aggiunto, ma se non si può avere tempo per ponderare la “scelta finale”, c’è però tempo per prepararsi ad affrontarla, innanzitutto grazie ad una visione più estesa della catena di fornitura, visione che permette di avere un quadro più completo di tutti gli aspetti e dei parametri coinvolti. Dal punto di vista meramente operativo, ci si può preparare al cambiamento grazie al Category Management, che organizza l’attività di acquisto attraverso il raggruppamento di prodotti e servizi collegati, facilitando la mappatura dei fornitori sul mercato, agevolando le decisioni sui prodotti e i servizi acquistati e da acquistare, preparandosi alla gestione degli appalti e dei contratti, ottimizzando i processi di acquisto e aumentando il risparmio.

Ma, come agire di fronte ai cambiamenti in un’ottica etica e sostenibile?

E ancora: il libero mercato indirizza verso uno sviluppo etico e sostenibile? O, meglio: sostenibilità ed etica sono conciliabili con il libero mercato?

Interrogativi stimolanti anche per l’uomo degli acquisti, chiamato a raggiungere gli obiettivi di saving e di efficienza e flessibilità, senza trascurare il rispetto delle normative vigenti e la sicurezza, che diventa sempre più un elemento culturale condiviso e sempre meno un obbligo cui far fronte.

La nuova visione della Supply Chain non può prescindere poi dalla ricerca della sostenibilità, e quindi dalla ricerca della prosperità economica e sociale. Ciò significa migliorare l’immagine del settore chimico e farmaceutico, più esposto a “critiche”, e puntare alla sostenibilità di prodotto e di processo, grazie ad un utilizzo più consapevole delle tecnologie e, in generale, degli strumenti a disposizione. La ricerca della sostenibilità diventa valore aggiunto al “fare azienda” e rientra in quel gioco di squadra che è la diretta conseguenza dell’estensione della Supply Chain e della sua visione.

Del resto, i responsabili acquisti gestiscono costi che non sono più solo numeri, e quindi prezzi, ma sempre più richiedono l’analisi della situazione in essere, dei contratti, dell’utilizzo reale del servizio e delle sue modalità.

Se ne è parlato diffusamente nel corso della tavola dedicata ai Servizi, Facilities e ICT, che ha visto i partecipanti muoversi su ampie tematiche comuni e altre più specifiche.

Fondamentale, soprattutto in questo momento di crisi e difficoltà, affrontare il Cost Management, che per la funzione acquisti diventa un elemento cardine dell’attività, insieme all’analisi e alla valutazione dei fornitori, facilitata dalla disponibilità di strumenti moderni come banche dati e sistemi di business intelligence, che consentono anche approcci dal punto di vista economico e finanziario.

Si è tornati poi al tema dell’outsourcing, al quale oggi si oppongono strategie di in-sourcing. Valutare quale delle due strategie sia la migliore è compito degli acquisti che, in ogni caso, devono approfondire e presidiare le logiche che sottendono ai processi di esternalizzazione, devono conoscerne le dinamiche e devono saper esternalizzare senza perdere il controllo.

Lo stesso vale per le modalità di approccio al Facility Management: dall’acquisto di energia e di telefonia mobile all’acquisto e alla gestione di processi di smaltimento dei rifiuti; servono verifiche e controlli costanti, per non rischiare di diventare “complici” di comportamenti scorretti se non fuori legge.

Lo stesso vale per le modalità di approccio al Facility Management: dall’acquisto di energia e di telefonia mobile all’acquisto e alla gestione di processi di smaltimento dei rifiuti; servono verifiche e controlli costanti, per non rischiare di diventare “complici” di comportamenti scorretti se non fuori legge.

Un confronto che continua

Gli acquisti sono così chiamati ad estendere le loro competenze, ad aggiornarle costantemente, a far fronte alla complessità dei mercati, ma anche più semplicemente a quella dei contratti di fornitura.

Si insiste quindi sul lavoro di squadra e sul confronto continuo con i propri interlocutori interni, per verificare il reale fabbisogno, prima, e l’efficacia delle scelte, poi.

Le Tavole rotonde sono quindi tornate a un tema comune: il lavoro degli acquisti abbraccia nuove competenze e professionalità, integrandole in un risultato finale che deve rispondere a criteri di efficienza, ma anche di contenimento dei costi. La sfida si rinnova e si complica di giorno in giorno e può essere senza dubbio affrontata con maggior serenità grazie al confronto di esperienze spesso diverse, ma non per questo lontane.

Rientra in questa logica, per esempio, l’incontro previsto per i prossimi mesi, tra la Tavola del Manifatturiero Evoluto e quella del Made in Italy: una delle diverse occasioni emerse dall’evento per dare continuità a un proficuo e ben avviato lavoro, che intende proseguire nella varie regioni di Italia verso l’appuntamento 2014 del

Negotiorum Fucina.